45,180: una casa, di Elisa Maria Fiocca, ricca di storia
Elisa Maria Fiocca ci accoglie – a me e al direttore Pino Riccardi – davanti al cancello che si erge alla fine di una stradina piena di buche e invasa dalla florida e incolta vegetazione che avanza da ambo i lati. Il sorriso è accogliente, l’espressione è quella di una donna ospitale ma dal piglio deciso, di una persona con un bagaglio notevole di esperienza e con una grande forza morale. Mi intrattiene sull’uscio, prima di entrare nella casetta cantoniera ristrutturata con molto gusto: il color crema dei muri offre un bellissimo contrasto con il marroncino del tetto. La ferrovia scorre a pochissimi metri dalla villetta, si potrebbero contare anche i centimetri, ma, come apprenderemo, non è la sola cosa che scorre nelle vicinanze dell’abitazione. Il direttore si attarda incuriosito dalle mille piante che incorniciano l’esterno della casa cantoniera, mentre mi accoglie un piccolo ingresso, che divide simmetricamente le due stanze del piano terra, la cucina e il soggiorno. Sulla piccola parete frontale, una bacheca sostiene diversi fogli intestati a comuni, catasti, Regione, ASL… che testimoniano le infinite autorizzazioni ottenute…
«E sì – esordisce Elisa Maria davanti alla mia perplessità – ho faticato parecchio per acquistarla… C’erano tanti interessi su questa casa, pubblici e privati, ma alla fine l’ho spuntata io nell’asta del 1998. E sì che la compravendita effettiva è stata ritardata da Ferrovie dello Stato Italiane di due anni, il tempo congruo per un accertamento dell’Agenzia delle entrate per contestare l’esiguità del prezzo nel frattempo schizzato alle stelle… Ho incontrato poi tante difficoltà per ogni pratica autorizzativa, non so quanto dovute al caso… Ora posso finalmente godermi pienamente una residenza che offre tanto relax e quiete».
Le ultime parole di Elisa Maria Fiocca rafforzano un mio dubbio:
la ferrovia corre troppo vicino all’abitazione per passare inosservata e… insonorizzata! Nel frattempo siamo entrati in cucina. Sembra la cucina originaria, quella che probabilmente aveva servito pasti caldi ai lavoratori della ferrovia che si erano alternati dal momento dell’edificazione dell’abitazione, ricostruita con attenzione nei minimi dettagli. Un’ondata di nostalgia malinconica investe il sottoscritto, mentre il direttore osserva affascinato uno strano utensile, dalla foggia antica, posato in modo apparentemente distratto su un ripiano ligneo.
«…è una zangola», interviene Elisa Maria Fiocca, come se parlasse di un comune attrezzo da cucina che utilizziamo tutti i giorni! Avvertendo la nostra perplessità, continua…
«La zangola è una specie di ciotola che serve per fare il burro. Si usava tanti anni fa… Ho cercato di ricreare un ambiente adeguato alla data di nascita di questa casa coloniale, utilizzando materiale da recupero acquistato o rinvenuto sul posto. Anche, per esempio, i “marmittoni” (mattoni antichi composti da materiale cementizio e pezzettini di marmo colorati, ndr) li ho trovati in un vecchio magazzino del posto. In origine l’architetto mi aveva proposto di demolirla e costruirla più in là, vedete, lì in fondo al giardino, lontana dai rumori della ferrovia».
In quel momento, pura coincidenza, un treno transita a velocità sostenuta sui binari che costeggiano il muro del soggiorno e, con grande stupore mio e del direttore, non avvertiamo la benché minima vibrazione o sussulto. Solo un attutito rumore che dura pochi secondi…
«Ho sempre viaggiato in treno, il rumore è una cosa familiare per me, ormai… E poi questa casa sembra fatta apposta per minimizzare quel tenue sferragliare che per altre abitazioni, più moderne, risulta un frastuono».
Le parole di Elisa Maria Fiocca non hanno accenti,
non tradiscono le sue origini di Mortara, in provincia di Pavia. Hanno, però, il peso dell’esperienza di una persona che ha girato il mondo, grazie anche alla sua professione.
«La costruzione è iniziata nel 1858, in coincidenza con la bonificazione della zona paludosa e la costruzione della ferrovia che collegava, e collega tuttora, Roma a Civitavecchia.
Uno strato di acqua è rimasto nel sottosuolo e causa da una parte umidità per i muri, dall’altra fertilizza la terra del rigoglioso giardino. La mia casa cantoniera non è la sola, nella tratta, e il suo numero identificativo è 45180, come 45,180 sono i km di binari che la dividono da Roma.
I cantonieri, che da allora a turno l’hanno abitata, permettevano che gli abitanti delle case vicine venissero ad attingere acqua dal pozzo, ancora oggi funzionante.
E permettevano loro addirittura di cuocere il pane nel forno in giardino, pur esso ancora funzionante (sembra di avvertire il profumo della pagnotta di una volta, dalla mollica compatta e dalla crosta granulata da mille farine, ndr).
Gli operai che dormivano qui, con il tempo si sono trasformati in burocrati che organizzavano le riparazioni del tratto di ferrovia di competenza, affidandole a lavoratori del posto.
La casa è stata abbandonata dall’inizio degli anni 60, in seguito a una tromba d’aria che ha scoperchiato il tetto. Pensi che per questo motivo, cioè per la totale assenza di copertura, quando ho dovuto ristrutturarla, a fatica si è riusciti a stabilire la sua altezza originaria».
La donna, mentre conversa amabilmente in cucina,
sembra attratta dal panorama che offre la finestra. Osserva e sembra coccolare con lo sguardo l’enorme giardino che quasi circonda la sua casa, estendendosi fino al muro a secco, di memoria ottocentesca, che delimita la sua proprietà. Oltre a piante comuni, il giardino è arricchito da lime, mandorli, melograni, noci, albicocchi, fichi d’India e ulivi.
«Ecco, gli ulivi, quei due ulivi, nascondono una storia… Ero a Berat, cittadina storica al centro dell’Albania, per uno dei numerosi convegni a cui partecipavo nell’ambito del mio lavoro e mi ero ripromessa di acquistare un ulivo, ma gli impegni non me lo avevano consentito. Mentre stavo per ripartire con il pullman che mi avrebbe portato all’aeroporto, si avvicinò il presidente della Camera di commercio di Berat e me ne regalò… due! Quando arrivai all’aeroporto un carabiniere mi chiese con chi mi ero fidanzata: era usanza del posto, infatti, chiedere la mano a una donna regalandole un ulivo, simbolo della serietà e della fondatezza secolare del proponente. E il presidente me ne aveva regalati addirittura due! Li piantai lì, dove ora li vedete e dove hanno resistito per tanti anni…».
Ha qualche nuovo progetto da realizzare, con la sua casa cantoniera?
«Da più parti mi hanno consigliato di aprire un lussuoso resort ma io penso che noi siamo custodi dei beni terreni, non proprietari assoluti, e quindi sarebbe un bene che ne godessero tutti. Mi piacerebbe creare una rete con le altre dimore storiche della zona, che non fosse un mero elenco illustrativo ma un’offerta sinergica di servizi al cittadino e ai turisti».
Un’ultima domanda: chi l’ha sostenuta nelle sue “battaglie”?
«La Fede».
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