
Il Castellaccio dei Monteroni a Ladispoli
Castellaccio dei Monteroni Ladispoli dista da Marina San Nicola circa 3 Km e ci si impiega con la macchina circa 7 minuti.: Una meraviglia architettonica da scoprire !!!

Un po’ di storia del Castellaccio dei Monteroni
All’altezza del 35° Km della via Aurelia c’è una diramazione che porta all’antico tracciato della statale: lì, nella frazione di Monteroni, tra alberi e ulivi e campi coltivati, ultimo lembo meridionale del territorio di Ladispoli, sorge il Castellaccio dei Monteroni.
E’ un casale fortificato a pianta rettangolare che si erge su due livelli, munito di quattro torri angolari merlate che gli conferiscono l’aspetto, e da qui il nome, di un piccolo castello.
Tale edificio, entrato di recente a far parte del patrimonio comunale di Ladispoli, costituisce una particolarità per stato di conservazione, dimensioni e struttura tra tutte le numerose costruzioni che nel corso dei secoli si sono realizzate lungo il percorso di Via Aurelia.
Situato nelle vicinanze del sito di Alsium e della necropoli etrusca di Monteroni, da cui l’edificio prenderà il nome, a ridosso dell’attuale via dell’Acquedotto di Statua, la sua edificazione iniziò nel secolo XIV circa su strutture romane preesistenti. Lontano dai centri abitati, a metà strada tra Civitavecchia e Roma restò per lungo tempo la più importante stazione di sosta di quel percorso. Il più antico documento in cui si cita il Castello dei Monteroni Ladispoli è un inventario del 1588 compilato da Vincenzo renzi sui casali di Roma. Da questo documento risaliamo al suo stato di casale con fondo agricolo annesso di 800 ettari, proprietario il marchese di Riano, Paolo Emilio Cesi.
Nel 1566 nella lista delle Taxae Viarium, riferita ai casali delle Via Aurelia e Cornelia, il castello non compare: è probabile perciò che esso sia stato costruito tra il 1566 e il 1588. Da una breve storia di Cerveteri e Ceri redatta nel 1659 dal commissario Generale della Reverenda camera Apostolica, De Rubeis, risulta che il Castello di Monteroni era legato al feudo di Ceri.
Il Castellaccio dei Monteroni
a cavallo tra il 500 e 600 era sicuramente un casale di posta delle carrozze, dove viaggiatori e pellegrini potevano sostare: nel 1624 è invece il primo documento che ne riporta una descrizione per immagini del Castello. Si tratta di una Carta di un autore anonimo in cui sono evidenziate in forma schematica le costruzioni più significative, i borghi, le torri e i corsi d’acqua presenti lungo la costa a nord di Roma.
In questa pianta, tra i fossi Sanguinara e Arrone, e raffigurato il Casale di Monteroni con la dicitura Monteroni Host.., circondato da grandi boschi e in forme molto simili all’attuale edificio; inoltre la Carta presenta la didascalia del duca di Ceri, a differenza delle proprietà di Palo, Cerveteri e Torre Flavia, attribuite al duca di Bracciano, quindi agli Orsini.
Da un rilievo tecnico del 1660, raccolto dalla Presidenza delle Strade per la manutenzione delle strade consolari, risulta che il castello di Monteroniera strutturato in un corpo centrale con i quattro torrioni angolari e, sempre da questo documento, si nota il sistema vario a tridente che, partendo dal Castello di Palo, puntava verso Monteroni da un lato, verso Civitavecchia dall’altro e verso Ceri e Bracciano nel mezzo: un impianto stradale che compare qui per la prima volta e si troverà sempre nella cartografia di questo territorio fino a metà Ottocento, con la presenza peraltro tipica delle alberature stradali, tutt’ora in parte esistenti.
Tra il Seicento e Settecento, periodo caratterizzatodallo spopolamento della campagna infestata dalla malaria e dai briganti il Casale di Monteroni rimase uno dei pochi insediamenti fissi ed infatti nella Tavola Topografica ad ampia scala del territorio o Distretto di Roma di Innocenzo Mattei, al toponimo Monteroni è attribuita ancora la funzione di Posta.
Il Castellaccio dei Monteroni Ladispoli
Il 29 Marzo 1678 il ducato di Ceri, fu acquistato dal nobile casato degli Odescalchi, che in seguito acquistò anche le importanti proprietà della famiglia Orsini.
Tornando al Castellaccio dei Monteroni Ladispoli, sono da segnalare due importanti documenti, conservati presso l’archivio Odescalchi, che forniscono una vera fotografia del monumento come era sul finire del secolo XVII.
Il primo è un album di grandi dimensioni delle misure e piante, con prospetti e piante a colori, consistente di 70 fogli in pergamena numerati, con le misure e le carte di campi e terreni, le descrizioni e le piante degli edifici più importanti interni allo stato di Ceri: un vero e proprio catalogo generale dei beni e delle terre del ducato, commissionato dal principe Odescalchi all’agrimensore Simone Rotondi e al cartografo Giovan Battista Cingolani nel 1682.
Tale album contiene quello che si può considerare il primo rilievo scientifico del monumento: vi è rappresentata la pianta del piano terra e un alzato prospettico e l’aspetto generale che se ne deduce è piuttosto simile all’attuale, con alcune differenze.
Il fronte presentava già un portale bugnato ma privo ancora dello stemma nobiliare al di sopra; le finestre erano molte di meno; infine le torri erano tutte rivestite ad intonaco. Il piano terra presentava un unico ingresso dal quale si diramavano le due grandi ali del corpo centrale e frontalmente la scala che accedeva al secondo piano, il grande annesso posteriore ancora non esisteva e le stanze delle torri erano accessibili soltanto dall’interno. Adiacente al Castello sorgeva un secondo edificio che serviva come stalla, fienile e altri usi dell’oste.
Il secondo documento
è un istrumento, un contratto di affitto risalente al 1683 dell’Albergo e Ostaria di Montarone per un valore di 200 scudi a Giovanni Pizzalio e Carlo Antonio de Angelis. Da tale contratto si apprende il motivo per cui venne costruito un edificio esterno all’Osteria: una clausola infatti vietava agli affittuari di mettere il fieno e la paglia dentro l’osteria per evitare incendi.
In questi anni si svolsero lavori edilizi importanti nell’edificio. La nota dei pagamenti fatti a muratori, ferrai, falegnami, dall’anno 1681 fino all’anno 1689 riporta tutti i pagamenti effettuati per la realizzazione di un fontanile, al di sotto del torrione di sud-ovest e probabilmente dell’annesso del lato lungo posteriore, come sembra confermato dalla pianta dell’agro romano del 1704 di Giovan Battista Cingolani.
Nei primi anni del 700 l’osteria subì diverse ristrutturazioni, tra le quali notevole quella del 1708 in occasione della visita del Papa Albani, Clemente XI, la realizzazione dello stemma di famigliae di una piccola cappella dedicata alla Madonna SS.ma della Consolazione nella torre di Su/Est, oltre a lavori di abbellimento: nuove finestre, nuovi camini, ritinteggiatura degli affreschi.
Durante tutto il Settecento l’Osteria di Monteroni rimase in funzione sotto il controllo degli Odescalchi. Nel corso dell’Ottocento, per motivi non del tutto chiari, ebbe luogo un progressivo decadimento dell’edificio: tuttavia ancora nel 1820 il Catasto Gregoriano registrava per Monteroni non solo l’Osteria ma anche l’oratorio e l’edificio di posta come funzionanti.
Inoltre,
vi si istituì una sorta di gendarmeria di confine tra gli Stati di Roma e Civitavecchia e, prorio in questo contesto, ebbe luogo l’episodio dell’arresto descritto da Gioacchino Belli nel sonetto “er passaporto” (1833). Ulteriori informazioni sullo stato dell’edificio sono contenute in due documenti, del 1837 e del 1851, che descrivono tutti gli ambienti, gli infissi e gli arredi in una sorta di inventario ai fini della consegna del casale ai nuovi affittuari.
Nel 1857, con il completamento della deviazione di Via Aurelia verso Palo, eseguita per raggiungere più facilmente la settecentesca Posta Vecchia di proprietà degli Odescalchi, il casale di Monteroni perse il ruolo che aveva ricoperto negli ultimi due secoli e finì per assumere esclusivamente funzioni agricole, utilizzato da mezzadri e affittuari come residenza e locale di servizio. Ormai di dimensioni eccessive per gli scopi necessari, si preferì suddividerlo internamente in più vani per rendere indipendenti le varie parti.
Fu allora che nella cartografia ufficiale assunse il toponimo di “Castellaccio” probabilmente per distinguerlo dal Castello più bello e nobiliare, quello degli Orsini-Odescalchi, che allora era visibile sulla linea della costa da chi percorreva Via Aurelia.
Nello stesso anno la costruzione della linea ferroviaria apportò grandi mutamenti al territorio circostante, tagliando il sistema viario a tridente facente capo al Castello di Palo. Durante la seconda guerra mondiale fu usato come rifugio per alcuni degli sfollati di Ladispoli e dopo la riforma agraria e l’esproprio dei terreni agricoli passò all’Ente Maremma, che lo utilizzò per i suoi mezzadri, incentivando le attività agricole.
Nel 2000, in occasione del Giubileo,
è stato sottoposto a un restauro sotto la supervisione della Provincia di Roma e della Sovrintendenza ai beni Architettonici del Lazio durante il quale si è riportato alla luce l’antico basolato Romano.
Ulteriori scavi nel perimetro adiacente il Castellaccio dei Monteroni a Ladispoli e il vicino edificio adibito a stalla e scuderie, hanno portato alla luce nel 2017 nuovi tratti dell’antico tracciato dell’Aurelia e, nel lato nord, importanti monumenti funerari di epoca Romana e numerosissime tombe a cappuccina dello stesso periodo.
Molte sono le narrazioni e le testimonianze dei molti personaggi che hanno soggiornato al Castellaccio nel corso dei secoli, in particolare durante l’epoca del Grand Tour nel Settecento e nell’Ottocento.
Fra di essi ricordiamo l’abate dominicano Padre Labat, che ha dedicato molte pagine del suo diario di viaggio alla sua permanenza nel Castellaccio dei Monteroni; San Paolo della Croce, fondatore dei Padri Passionisti a metà del Settecento; Caroline Hamilton Gray con il suo Viaggio tra sepolcri dell’Etruria del 1840; il viaggiatore e archeologo inglese George Dennis, autore di scavi in questa zona tra il 1842 e il 1847; l’architetto Luigi Canina e lo storico Antonio Nibby.
Il Castellaccio dei Monteroni a Ladispoli è stato utilizzato come set cinematografico la prima volta da Alessandro Blasetti nel 1951 per l’episodio del “Tamburino sardo” nel film Altri Tempi: nel 1959 fu Monicelli ad utilizzarlo per tutta la parte finale de: La Grande Guerra. I due soldati perennemente imboscati ( Gasmann e Sordi) prima si rifugiano nel vicino edificio delle scuderie per la notte e poi, presi prigionieri dagli Austriaci, vengono interrogati nel salone del grande camino, locali usati realmente dai contadini che, in attesa delle case dell’Ente Maremma abitavano già nel Castellaccio.
La scelta di questa ambientazione
era stata suggerita a Monicelli da Giuseppe Rotunno, direttore della fotografia di questo film, che proprio nella pianura vicino al Castellaccio dei Monteroni aveva iniziato la sua carriera con Roberto Rossellini nel film: L’uomo dalla Croce.
In conclusione, il Castellaccio dei Monteroni a Ladispoli è una meta imperdibile per gli amanti dell’architettura e della storia. Questa struttura affascinante offre una panoramica completa sulla cultura e sulle tradizioni del nostro territorio. Visitare questo luogo significa immergersi completamente nel passato e lasciarsi trasportare da un’atmosfera suggestiva e affascinante.
autore: Crescenzo Paliotta
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