I palazzoni sul mare di Ladispoli
“Un nuovo quartiere romano, sdraiato sulla spiaggia”, così definiva Ladispoli Domenico Pertica, brillante e geniale scrittore-giornalista, collaboratore di Federico Fellini.
Ed in effetti, vista da via Aurelia o dall’aereo, l’immagine prevalente di Ladispoli è quella dei grandi palazzi sul mare, stretti gli uni agli altri, quasi statue tutte in piedi per guardare l’orizzonte lontano.
È il segno indelebile di uno sviluppo senza freni che, in poco più di dieci anni, stravolse completamente quella che, dalla nascita nel 1888, era stata la struttura urbanistica della Ladispoli “Stazione per i bagni di mare”, al servizio della Capitale.
Dal 1888 al 1938 Ladispoli era rimasta nei suoi limiti fissati dal Piano Urbanistico firmato da Ladislao Odescalchi e Vittorio Cantoni: tre linee di confine naturali come il mare, i fiumi Vaccino e Sanguinara a la via che dalla stazione di Palo portava al nuovo paese.
Paralleli a quella via, chiamata subito via Odescalchi, i binari del brevissimo tratto ferroviario (2 km e 600 metri) che si staccavano sempre a Palo dalla Roma-Civitavecchia (già esistente dal 1859).
Una struttura semplice e regolare, con tre vie parallele al mare, tra le quali una principale, via Duca degli Abruzzi, che fu il cuore della città fino a quando, nel 1938 fu realizzata la stazione ferroviaria e conseguentemente il piccolo paese cominciò a svilupparsi lungo il nuovo asse di viale Italia, perpendicolare al mare.
Dalla fine degli anni ‘30 fino al primo dopoguerra e agli anni cinquanta, quando lo sviluppo ad estendersi verso l’attuale Caerevetus (la parte da via Roma al mare) e nelle aree finora lasciate agricole tra via Odescalchi fino alla linea ferroviaria.
Alle palazzine liberty, eleganti anche se senza grandi pretese,
si aggiunsero edifici residenziali di due o al massimo tre piani, molti villini ricchi di alberature. Di fatto fino alla fine degli anni cinquanta lo sviluppo edilizio era stato limitato e soprattutto non aveva snaturato il primitivo disegno di un paese adagiato sul mare con una leggerissima densità abitativa. Ma stava per arrivare, quello che poi fu definito il “boom economico italiano”, cioè il grande sviluppo dell’economia italiana che trasformò il nostro paese da agricolo a industriale. Un discreto benessere arrivò anche agli strati sociali che fino ad allora non sapevano nemmeno cosa fossero le “vacanze”.
Soprattutto nei litorali vicino alla Capitale si riversò la “voglia di mare” di centinaia di migliaia di romani: la mancanza di ogni regola urbanistica che potesse fronteggiare questa grande richiesta di abitazioni rese possibile quello che può essere ritenuto uno dei più grandi scempi edilizi di quegli anni. Naturalmente questo non accadde solo sul litorale romano; famosi sono i casi di Palermo, Agrigento, Napoli, tanto per citare i più importanti: milioni di metri cubi realizzati senza tener conto della esigenza di servizi primari, dai parcheggi al verde, alle scuole.
A questo fenomeno, che deturpò molti luoghi d’Italia, Francesco Rosi nel 1963 dedicò un bellissimo ed intenso film: “Le mani sulla città”, titolo che da allora diventò sinonimo di speculazione edilizia o, più in generale, di imposizioni della criminalità organizzata sui poteri locali.
Tornando al litorale romano, i luoghi ove si concentrò l’interesse dei villeggianti e, di conseguenza, quello dei costruttori, furono Ostia, Torvaianica, Ardea, Passocuro e Ladispoli.
Se per Ostia, compresa nel comune di Roma, il danno fu limitato dalla esistenza di uno dei pochi PRG approvati in Italia, per le altre località non si posero limiti alla intensità delle cubature realizzabili.
Ladispoli non era ancora comune autonomo
e dopo essere stata frazione di Civitavecchia fino al 1949, era passata sotto il Comune di Cerveteri, dal quale si dividerà nel 1970.
Fino al 1967, anno di approvazione della cosiddetta “Legge Ponte”, le regole urbanistiche in Italia erano quelle della Legge 1140 dell’agosto del 1942, periodo nel quale non c’era certo il rischio di grandi cementificazioni, mancando la spinta economica che poteva creare mercato.
Per la Legge 1150/42 nelle campagne non c’era l’obbligo delle richieste ad edificare e nei centri urbani privi di PRG (quasi tutti), la potenzialità edificatoria dei terreni non aveva limiti né c’era l’obbligo di realizzare servizi o urbanizzazioni per i nuovi residenti.
Senza alcuno strumento di controllo e di difesa di fronte alla spinta dello sviluppo edilizio, i litorali intorno Roma furono oggetto di progettazioni ed edificazioni praticamente senza limiti: palazzi di 8/9 piani realizzati su lotti di poco più di 1000 metri quadrati, con una volumetria a metro cubo che arrivò fino a 10 mc/mq. Il dato ancora più grave è che questa edificazione non solo andò ad affiancarsi ai villini e alle palazzine liberty, ma spesso ne prese il posto dopo veloci demolizioni.
A Ladispoli questa spinta trovò anche nuovi spazi edificatori dopo la deviazione del Sanguinara, decisa a seguito della grande esondazione del 1956: il Sanguinara fino ad allora, con un percorso molto tortuoso, arrivava al mare passando nell’area ove attualmente è situata via Kennedy.
Fu deciso di rendere rettilineo il percorso e rimasero quindi grandi spazi tra via del Mare e via del Lavatore.
Appena il tempo di chiudere i lavori per il nuovo alveo del fiume
ed ecco i cantieri sorgere uno dopo l’altro, con palazzi di 8 o addirittura 10 piani costruiti sulla sabbia, senza un metro quadrato di parcheggio o di verde pubblico. Pochi anni dopo lo stesso avveniva su viale Italia e su alcuni lotti delle traverse della via principale della città.
Fenomeni simili, come abbiamo detto, avvenivano in tante parti d’Italia e, finalmente ma troppo tardi, il Parlamento decise che era venuto il momento di intervenire: il 6 agosto del 1967 fu approvata la legge 765, nota come “Legge Ponte” perché doveva fare da “ponte” tra la legge urbanistica del 1942 e i nuovi Piani regolatori.
Con la Legge Ponte si prevedeva l’obbligo della richiesta per edificare nella campagna mentre per i centri abitati era previsto un massimo di 1,5 mc/mq di cubatura fino a che i Comuni non avessero adottato un proprio Piano Regolatore. Tutto bene ma, incautamente e/o volutamente, la legge stabilì che le limitazioni sarebbero divenute efficaci dopo 12 mesi: quell’anno servì purtroppo ai molti speculatori in attività per preparare e presentare progetti con cubatura ancora spropositate.
Le commissioni edilizie dei comuni lavorarono con grande intensità e rimangono nella storia (negativa) dell’urbanistica italiana la giornata e la notte del 6 agosto1968, quando in Italia migliaia di progetti per milioni di metri cubi furono approvati prima della scoccare della mezzanotte. Dal giorno dopo sarebbero stati tutti bocciati.
Fu così che scomparvero aree e servizi
e al loro posto fu dato il via a palazzi senza alcun criterio urbanistico: per Ladispoli ad esempio di fronte al piazzale della Stazione, dove ora sorgono otto palazzi per più di 200 appartamenti, erano previsti solo giardini e verde pubblico. E così via per tante altre zone a fortissima intensità abitativa, da Marina di Palo (a monte di via Palo Laziale) alla Caerevetus (a monte di via Claudia).
Dal 1968 in poi le cose naturalmente cambiarono e si arrivò al PRG del 1978, che proiettava tutto lo sviluppo verso monte, salvaguardando quello che rimaneva e rimane tuttora lungo la fascia marina.
Ma i danni erano in gran parte già stati fatti e così in piazza Rossellini, ad esempio, palazzi di 5/6 piani con facciate cieche e senza finestre, affiancarono edifici dei primi anni del ’900. Oppure, in alcune traverse di viale Italia, villini ad un piano furono affiancati da palazzi di nove piani. E, a parte i fatti estetici naturalmente molto importanti, con effetti impossibili da sanare sulla mancanza di spazi per i servizi.
Pochi parcheggi, poco verde, presente per fortuna invece tra via Odecalchi e via Ancona, non per una voluta scelta urbanistica dei tecnici ma per la volontà dei cittadini che imposero che rimanesse inedificata quella che prima era la sede della ferrovia Palo-Ladispoli.
Ai “palazzi sul mare”, alla Ladispoli
che poteva contare negli anni 70/80 fino a centomila turisti d’estate, fanno riferimento i film di Sordi, Pippo Franco, Verdone: una immagine negativa e anche stereotipo che Ladispoli faticosamente si sta togliendo di dosso. Lo sta facendo realizzando i servizi che mancavano, dandosi una identità precisa che allontani l’immagine di “quartiere di Roma sul mare”.
Le case che erano abitate solo d’estate ora si stanno riempiendo e, con i 1300 abitanti per km quadrato, Ladispoli è la seconda città nel Lazio, dopo Ciampino, per densità abitativa.
E pensare che a meno di un chilometro dai “palazzi sul mare” di via del Lavatore e via del Mare c’è un Borgo che, con il Castello e la Villa della Posta Vecchia e con i cento ettari di parco giardino che lo circondano, è tra i posti più intatti, silenziosi ed esclusivi di tutto il Tirreno. Ladispoli, la città nuova, forse anche troppo, ma dal cuore antico.
Tratto dal libro “Ladispoli – Un lungo viaggio nel tempo” – Volume 2 – Identità e Cultura – Edizioni CISU –
Crescenzo Paliotta
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