
La Ladispoli Liberty

Lo stile Liberty fu la declinazione italiana dell’Art Nouveau, un linguaggio stilistico internazionale che riguardò le arti figurative, l’architettura e le arti applicate, diffuso in Europa e nel Nord America tra il 1890 e la Prima Guerra Mondiale. Il nome deriva dal negozio-galleria di oggetti d’arte “La Maison de l’Art Nouveau” aperto da S. Bing nel 1895 a Parigi. A seconda dei contesti in cui si affermò, il movimento Liberty assunse diversi aspetti e denominazioni: in Francia e Belgio “Art Nouveau”, in Gran Bretagna “Modern Style”, in Spagna “Modernismo”, in Austria “Stile Secessione”, in Italia appunto Liberty, o anche Stile Floreale. Al di là dei diversi nomi ed elaborazioni, tutti i diversi movimenti nazionali furono accomunati dall’opposizione allo storicismo dell’arte precedente (Neoclassicismo, Neogotico ed Eclettismo) che attingeva al passato, e si ispirarono invece direttamente alla natura, non semplicemente imitandola ma reinterpretandola in forme stilizzate, con raffinate decorazioni zoomorfe e fitomorfe e linee dinamiche, con un ampio uso di materiali industriali come ferro, vetro, ghisa e maiolica.

L’Art Nouveau fu un fenomeno ampio, culturale e di gusto che rispecchiava la cultura cosmopolita fin de siecle e il periodo di pace della Belle Epoque. Alla base della nuova “arte totale” vi era la volontà della committenza borghese di avvicinarsi al mondo dell’arte per celebrare il suo status di nuova classe dominante. Nel periodo da fine Ottocento allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l’Europa, reduce da secoli di guerre, grazie in particolare al progresso scientifico e tecnico, sembrò finalmente aver raggiunto pace e prosperità. Dato il grande sviluppo demografico, si verificò il rinnovamento delle città e l’aumento dei traffici commerciali con la diffusione di nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione: linee ferroviarie e automobili, aeroplani, il telefono e il telegrafo. La fede nel progresso che caratterizzò questo periodo traeva origine dal movimento filosofico del Positivismo, che influenzò non solo la cultura, ma anche l’opinione pubblica e la vita sociale: tutte le classi sociali cominciarono a fare uso del tempo libero e del diritto allo svago e fiorirono tutte le forme d’arte, dal cinema al teatro, dalla danza all’opera.

Ci furono invenzioni che portarono a grandi cambiamenti sociali, come quella della luce elettrica che illuminò per la prima volta i luoghi pubblici delle città. Un grande aiuto nella diffusione dello stile Art Nouveau non solo in Europa, ma a livello mondiale, fu dato dalle grandi Esposizioni che, a partire dalla metà del XIX secolo, in seguito alla Rivoluzione Industriale e al miglioramento dei mezzi di trasporto, divennero occasione di celebrazione delle ultime novità della scienza, della tecnica e dell’arte per un pubblico sempre più vasto. Dopo l’Esposizione Universale di Parigi del 1889 con l’inaugurazione della Torre Eiffel, un momento molto importante per la diffusione dell’Art Nouveau fu l’Esposizione Universale del 1900 sempre a Parigi, per celebrare l’inizio del nuovo secolo e in Italia l’Esposizione Internazionale d’arte decorativa moderna nel 1902 a Torino.
In Italia l’Art Nouveau si diffuse verso la fine dell’Ottocento con il nome di Liberty.

Il termine Liberty deriva dal nome del negozio che il mercante d’arte inglese Arthur Liberty aprì a Milano come succursale di quello londinese nella seconda metà dell’Ottocento. In questo periodo L’Italia aveva appena raggiunto importanti conquiste politiche e sociali e viveva una fase di sviluppo economico grazie alla politica giolittiana e alla formazione di una borghesia imprenditoriale. Il Liberty si inserì in un contesto artistico privo di uno stile nazionale unitario, tranne il rifacimento agli stili del passato e si pose come un movimento di distacco dallo storicismo precedente tipico del Neoclassicismo e del Neobarocco. Contro tale atteggiamento di ossequio alla tradizione, gli artisti del Liberty intesero fondarsi sulla realtà del presente e a volte su una realtà avveniristica. Rispetto agli altri paesi europei in Italia il nuovo stile si diffuse anche in pittura e in scultura e si legò alla grande tradizione del lavoro artigianale. La sua massima fioritura qualitativa si ebbe laddove era maggiore lo sviluppo industriale e i maestri del Liberty furono quasi sempre espressione della cultura alto borghese e del mecenatismo dei grandi industriali. Il Liberty fu tuttavia sia arte raffinata e di elite, sia arte popolare che superava le distinzioni sociali, ammettendo nel suo percorso edifici di edilizia sociale.

In tutti i tipi di edifici erano presenti comunque i motivi decorativi e i nuovi materiali come cemento e ceramica con effetti cromatici o decorazioni di stucco a motivi floreali. Nelle arti applicate in Italia l’introduzione degli schemi Liberty fu rallentato dall’esistenza di una tradizione artigianale di alto livello. Si suole motivare tale ritardo con fatto che l’Italia era un paese dalle tradizioni artistiche così alte da scoraggiare l’introduzione di nuovi stili. Negli anni novanta dell’Ottocento gli artisti italiani più giovani cominciarono ad aderire al Liberty: un gruppo si formò a Firenze e fra essi vi furono Galileo Chini, pittore, decoratore, grafico, disegnatore di mobili e di scenografie teatrali, Giovanni Segantini e Carlo Bugatti. In architettura i più importanti esponenti del movimento Liberty furono Ernesto Basile, attivo a Palermo e che nel 1899 realizzò Villa Igiea, considerata la prima architettura Liberty in Italia, D’Aronco, friulano che vinse il progetto architettonico per “Torino 1902”, Sommaruga e Michelazzi.

Il Liberty si espresse anche nella grafica e nella ceramica, con Faenza centro di fama europea e Duilio Cambellotti un artista di arti grafiche e di arti visive esponente di spicco ed esempio per eccellenza di artista-artigiano. Nei primi anni del Novecento si affermarono le vetrate Liberty: in questo settore vanno ricordate l’Officina di Teodoro Wolf – Ferrari di Venezia e le Officine Feltrami di Milano. Infine il Liberty si affermò anche nell’arte orafa, nell’arte del ferro, nei tessuti e addirittura nella musica (Puccini, Mascagni, Respighi). Caratteristica del Liberty italiano fu la stretta collaborazione tra architetti e artigiani, artisti e decoratori. In particolare il villino Liberty era il risultato di una profonda sinergia tra il committente e l’esecutore e di un lavoro collettivo in cui artisti e artigiani cooperavano armonicamente nella realizzazione di decorazioni, infissi, inferriate, vetrate, interni e arredi. Il villino unifamiliare divenne la residenza tipica piccolo e medio borghese del primo Novecento: nelle grandi città di tutta Italia nuovi piani urbanistici consentirono ai cittadini più benestanti di realizzare ex-novo o ristrutturare edifici. Parallelamente allo sviluppo urbanistico delle città, vi fu un significativo sviluppo delle località costiere e marittime che si convertirono al turismo di massa.

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento anche in Italia si diffuse il mito della villeggiatura e delle città balneari: ovunque, da Viareggio al Lido di Venezia, da Palermo a Imperia, e nel Lazio da Santa Marinella a Ladispoli, da Anzio a Nettuno, vi fu un fiorire di stabilimenti balneari, di alberghi, di ristoranti sul mare e casinò.
Ben presto la notevole crescita del turismo balneare determinò le condizioni per l’edificazione di stabilimenti sempre più grandi e attrezzati e fece sì che alle spalle dei “bagni” si cominciassero a costruire viali e piazze, villini e strutture di servizio. Esempi di edifici che abbellirono i litorali italiani furono a Viareggio il Gran Caffè Margherita progettato da Alfredo Belluomini e Galileo Chini nel 1928, adibito a caffè e ristorante e frequentato
fra gli altri da Giacomo Puccini; ad Anzio il “Paradiso sul Mare”, destinato ad ospitare il Casinò, costruito dall’Architetto Accademico d’Italia Cesare Bazzani; ad Ostia lo storico stabilimento Roma, progettato dall’Architetto Giovan Battista Milani, il primo stabilimento balneare costruito in cemento. Sul litorale a nord di Roma, nel 1887, il principe Baldassarre Odescalchi acquistò all’asta, per pochi soldi dall’Ospedale di Santo Spirito in Sassia la tenuta di Santa Marinella, 550 ettari sul mare dominati dal Castello e con pochi edifici.

La località si trasformò in stazione climatica salubre e divenne una località di villeggiatura esclusiva per l’alta borghesia romana, sia per la sua posizione elevata rispetto al livello del mare sia per la facilità dei collegamenti con Roma. Il principe Odescalchi elaborò e realizzò un progetto urbanistico per una nuova cittadina estesa fino alla Punta di Capo Linaro coinvolgendo l’architetto personale Raffaele Ojetti, il quale costruì per sé il primo villino, ancora esistente.
In questo contesto nel 1888, per volontà del principe Ladislao I Odescalchi nei suoi terreni a nord del Castello di Palo, compresi tra i fossi Vaccino e Sanguinara, su un progetto elaborato insieme all’ingegnere Vittorio Cantoni, nacque Ladispoli. Approvato il progetto di lottizzazione, si realizzarono in poco tempo la nuova strada Palo-Ladispoli, il nuovo tronco ferroviario, lo spostamento da Palo dei due stabilimenti balneari, Dispari e Falena, e nel 1888 fu inaugurata la Stazione Balneare Ferroviaria di Ladispoli.

Al turismo elitario di Palo si aggiunse un turismo più popolare e con maggiore afflusso che mise in difficoltà la nuova cittadina dove, a parte quattro o cinque edifici, era tutto da costruire: l’ingegnere Cantoni aveva già realizzato il suo palazzo tra Via Duca degli Abruzzi e Piazza della Vittoria, ancora esistente, ma intorno vi erano soprattutto strutture precarie di legno, come i primi due stabilimenti. Lo sviluppo topografico e demografico nei primi anni di vita di Ladispoli fu molto lento, avendo la località funzione esclusiva di stazione balneare estiva. Comunque gradualmente cominciarono a essere costruite strutture ricettive, alberghi, trattorie e altri stabilimenti balneari ed ebbe inizio la costruzione di villini in stile liberty. Lentamente cominciarono a nascere le prime case in muratura, il Palazzaccio, Villa Fumaroli, Villa Torlonia, Villa Rossellini, Villa Costantini, i Villini Storti, Barucci, Rolli, Morelli, Giusti, Angiolini, Bagnaresi. L’Hotel Miramare sul lungomare centrale, nato nel 1894 come “Pensione Lido” rappresenta uno degli esempi più pregevoli dello stile liberty di Ladispoli. Quello che fu il primo Piano Regolatore di Ladispoli (1888) conferiva alla cittadina la forma di un rettangolo allungato parallelo alla costa con uno schema ortogonale e una vasta piazza al centro. Esso stabiliva vincoli architettonici ben precisi: era data facoltà agli acquirenti dei lotti di costruire, in muratura, uno o più villini con annessi e giardino di dimensioni proporzionali al fabbricato e recintati con muro o cancellata, inoltre le costruzioni non potevano avere un’altezza maggiore di 15 metri; infine era fatto divieto di destinare i terreni venduti a opifici e ogni altra attività che potesse arrecare disturbo alla quiete. Nel Piano Generale esisteva un lotto centrale di forma trapezoidale di circa 6000 mq sul quale la Ditta Cantoni, allo scopo di fornire la stazione balneare di un locale ad uso Cafè-Restaurant, fece costruire, senza il consenso del Principe, un fabbricato consistente in due chalets di legno uniti da una galleria a due piani. Tale opera doveva servire a portare un afflusso di bagnanti superiore a Palo, aumentare il valore dei terreni ed accogliere i visitatori durante l’inaugurazione del luglio 1888, ma le controversie con il principe Odescalchi portarono alla sua demolizione. Nella prima metà degli anni Venti Ladispoli aveva ancora il primato delle presenze estive tra le stazioni di soggiorno della provincia di Roma, ma l’appartenenza al comune di Civitavecchia fino al 1949, il parallelo sviluppo di altre località marittime come Ostia, Fregene e Santa Severa e la presenza della ferrovia come confine tra la proprietà Odescalchi e il comune di Cerveteri posero un limite notevole allo sviluppo successivo come centro balneare di primo piano.
Nel centro storico di Ladispoli, corrispondente alla originaria lottizzazione Odescalchi ci sono ancora edifici in stile liberty, nella maggior parte dei casi costruiti precedentemente all’anno 1930.
La presenza del Liberty a Ladispoli contribuisce quindi in modo importante alla definizione delle radici storiche della Città e alla costruzione di una identità locale e di un immaginario collettivo condiviso.
Tratto dal libro “Ladispoli – Un lungo viaggio nel tempo” – Volume 2 – Identità e Cultura – Edizioni CISU –
Crescenzo Paliotta
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